LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
    Ha pronunciato la seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto  da
Maniscalco Vincenzo, nato a Palermo il 9 aprile 1967; 
    Avverso la  sentenza  emessa  il  27  gennaio  2012  dalla  Corte
d'appello di Trento; 
    Udita nella pubblica udienza del 9 maggio 2013 la relazione fatta
dal Consigliere relatore; 
    Udito il Pubblico ministero in persona del Sostituto  Procuratore
Generale dott. Francesco Salzano, che ha concluso per il rigetto  del
ricorso e la declaratoria di manifesta  infondatezza  della  eccepita
questione di legittimita' costituzionale; 
    Udito il difensore avv. Michela  Porcile,  che  ha  espressamente
riproposto l'eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis
del d.-l. n. 272 del 2005, introdotto dalla legge di  conversione  n.
49 del 2006, in riferimento agli artt.  77,  secondo  comma,  e  117,
primo comma, Cost.; 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con sentenza del 27  gennaio  2012  la  Corte  d'appello  di
Trento confermo' la sentenza emessa il 24 marzo 2010 dal giudice  del
tribunale  di  Trento,  che  aveva  dichiarato  Maniscalco   Vincenzo
colpevole del reato di cui all'art. 73, comma 1, d.P.R.  n.  309  del
1990, per essersi, in data 4 febbraio  2008,  rifornito  con  Lazhari
Ahmed di un quantitativo di circa kg 3,860 di  sostanza  stupefacente
di tipo hashish, poi trasportato da Bologna a Trento sulla sua  auto,
e lo aveva condannato, con le attenuanti generiche, alla pena di anni
4 di reclusione ed  € 20.000,00  di  multa  (pena  base:  anni  6  di
reclusione ed € 26.000,00). 
    2. - L'imputato,  a  mezzo  dell'avv.  Michela  Porcile,  propone
ricorso per cassazione deducendo: 
    2.1.   -   Contraddittorieta'   della   motivazione   sulla   sua
responsabilita' in quanto: la sua partecipazione al viaggio era stata
parziale e il Lazhari gli aveva celato l'acquisto e  l'identita'  del
fornitore; i verbali di  arresto  e  di  sequestro  contenevano  meri
elementi indiziari da cui non si ricavava una interpretazione univoca
dei fatti; le foto mostravano che il Lazhari non aveva  occultato  lo
zainetto ma lo teneva tra le gambe; era viziata  la  motivazione  con
cui si respingeva l'istanza  di  rinnovazione  del  dibattimento;  la
deposizione  dell'ispettore   di   polizia   e   le   intercettazioni
telefoniche erano inconferenti. 
    2.2. - Vizio di  motivazione  sul  mancato  riconoscimento  della
attenuante del fatto di lieve entita' di cui all'art.  73,  comma  5,
d.P.R. n. 309 del 1990. 
    2.3. - Mancata riduzione della pena,  con  la  concessione  della
sospensione condizionale. 
    3. - L'avv. Michela  Porcile,  in  prossimita'  dell'udienza,  ha
depositato una lunga ed articolata memoria con la quale eccepisce  la
illegittimita' costituzionale dell'art. 4-bis  del  decreto-legge  n.
272 del 2005, come introdotto dalla legge di conversione  n.  49  del
2006, in riferimento agli artt.  77,  secondo  comma,  e  117,  primo
comma, Cost. 
    Ricorda che il testo originario dell'art. 73 del  d.P.R.  n.  309
del  1990  prevedeva  due  distinti  reati  a  seconda   dell'oggetto
materiale della condotta: i primi  tre  commi  riguardavano  le  c.d.
droghe pesanti, ossia le sostanze elencate  nelle  tabelle  I  e  III
dell'art. 14, prevedendo (per l'ipotesi di cui al comma  1)  la  pena
della reclusione da 8 a 20 anni e della multa da euro 25.822  a  euro
258.228, mentre il quarto comma riguardava le  c.d.  droghe  leggere,
ossia le sostanze catalogate nelle tabelle  II  e  IV  dell'art.  14,
prevedendo la pena della reclusione da 2 a 6 anni e  della  multa  da
euro 5.164 a euro  77.468.  L'impianto  della  normativa  era  quindi
costruito sulla  dualita'  droghe  pesanti-droghe  leggere,  con  due
circuiti separati in base alla qualita' della sostanza  stupefacente,
il che, secondo la  difesa,  corrisponderebbe  anche  alla  soluzione
indicata dalla decisione quadro 2004/757/GAI  del  Consiglio  del  25
ottobre 2004. Questo  sistema  e'  stato  stravolto  dalle  modifiche
normative apportate al d.P.R. n. 309  del  1990,  ed  in  particolare
all'art. 73, dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49 (di conversione, con
modificazioni, del decreto-legge 30 dicembre 2005, n.  272),  con  le
quali e' stata soppressa la distinzione tra droghe pesanti  e  droghe
leggere; e' stata prevista (al posto delle  precedenti  quattro)  una
sola tabella in cui sono convogliate tutte le sostanze  stupefacenti;
ed e' stata prevista per tutte le condotte indicate  nei  commi  1  e
1-bis ed indistintamente per tutte le sostanze (anche per  quelle  in
precedenza qualificate droghe leggere) la pena della reclusione da  6
a 20 anni e della multa da euro 26.000 a euro 260.000. 
    La difesa, quindi, eccepisce che queste modifiche portate in sede
di conversione in legge sono incostituzionali in riferimento all'art.
77, secondo comma, Cost., per come interpretato dalla  giurisprudenza
della Corte costituzionale in tema di decretazione  d'urgenza  e,  da
ultimo, dalla sentenza n. 22 del 2012. 
    Ricorda che il decreto-legge 30 dicembre 2005, n.  272,  composto
di soli sei articoli, recava misure urgenti dirette  a  garantire  la
sicurezza e il finanziamento per le prossime Olimpiadi  invernali  di
Torino, la funzionalita' della amministrazione  dell'interno,  ed  il
recupero di tossicodipendenti recidivi. Con la legge  di  conversione
furono pero' approvati emendamenti che hanno introdotto  nel  decreto
ben  23  nuovi  articoli  relativi  alla  disciplina  delle  sostanze
stupefacenti, e hanno inciso profondamente  sul  testo  dell'art.  73
d.P.R. n. 309 del 1990,  eliminando  la  distinzione  delle  sostanze
vietate in base alla loro nocivita' e portando un consistente aumento
di pena per le condotte relative alle c.d. droghe leggere. 
    La difesa ricorda che la sentenza della Corte  costituzionale  n.
22 del 2012, concludendo un percorso iniziato con la sentenza  n.  29
del 1995 (che aveva ammesso il  sindacato  di  costituzionalita'  sul
presupposto del «caso straordinario di necessita' e  di  urgenza»)  e
proseguito, tra l'altro, con le sentenze n. 171 del 2007 e n. 355 del
2010 (che avevano distinto fra le disposizioni aggiunte  in  sede  di
conversione che non siano del tutto estranee  rispetto  al  contenuto
della decretazione d'urgenza e quelle che siano eterogenee rispetto a
tale contenuto) ha ritenuto illegittime, per violazione dell'art. 77,
secondo comma, Cost., le norme inserite nel corpo  del  decreto-legge
attraverso emendamenti approvati con la legge di conversione, che non
facevano parte ab origine del testo del decreto e che siano del tutto
estranee alla materia ed alle finalita' del medesimo. 
    3.1. - Cio' Premesso,  la  difesa  esprime  un  primo  dubbio  di
legittimita' costituzionale del citato art. 4-bis  del  decreto-legge
n. 272 del 2007, sotto il profilo  della  mancanza,  nell'ipotesi  in
esame,  del  caso  straordinario  di  necessita'  e  di  urgenza  che
legittimi la decretazione di  urgenza  nel  suo  assetto  originario.
Osserva che nella specie  il  difetto  di  questo  requisito  sarebbe
«evidente» e non potrebbe ritenersi sanato dalla  approvazione  della
legge di conversione perche' tale mancanza, una volta intervenuta  la
conversione, si traduce in un vizio del procedimento  della  relativa
legge (sentenze n. 29 del 1995, n. 341 del 2003, n.  171  del  2007).
Rileva inoltre che la  mancanza  del  requisito  emerge  anche  dalla
circostanza che il decreto-legge n. 272 del 2005 non e' dotato  della
necessaria caratteristica della omogeneita',  ne'  sotto  il  profilo
dell'oggetto (omogeneita' oggettiva-materiale) ne' sotto quello delle
finalita' (omogeneita' funzionale-finalistica),  come  risulta  dalla
sua stessa rubrica, relativa ad una pletora di materie distinte ed al
perseguimento  di  almeno  due  distinte   finalita'   (garantire   i
finanziamenti ed il sicuro svolgimento delle  olimpiadi  invernali  e
favorire  il  recupero  dei  tossicodipendenti  recidivi,   finalita'
quest'ultima  che  peraltro   mancava   palesemente   del   requisito
dell'urgenza dato che le olimpiadi invernali dovevano svolgersi  dopo
poco piu' di un mese). Rileva anche  che  il  caso  straordinario  di
necessita'  e  di  urgenza  deve  essere  uno  e  singolo  per   ogni
decreto-legge  e  che  l'omogeneita'  teleologica  non  puo'   essere
spezzata, come invece avviene con  evidenza  fin  dalla  rubrica  del
decreto-legge n. 272 del 2005. 
    3.2.  -  La  difesa  prospetta  quindi  un  secondo   dubbio   di
legittimita'  costituzionale  in   relazione   all'art.   4-bis   del
decreto-legge n. 272 del 2005, nella  parte  in  cui  reca  modifiche
all'art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990. Ricorda  che  il  disegno  di
legge di  conversione  fu  presentato  al  Senato  arricchito  da  un
maxiemendamento  di  spropositata  ampiezza,  il  cui   oggetto   non
coincideva, nemmeno alla lontana, con quello  del  decreto-legge,  ne
stravolgeva il contenuto e ne  faceva  venire  meno  la  gia'  dubbia
omogeneita' e coerenza interna con l'introduzione di ben 23  articoli
dedicati alla materia degli stupefacenti e comportanti una  complessa
revisione del d.P.R. n.  309  del  1990.  Gli  articoli  da  4-bis  a
4-vicies-ter condensano il contenuto del disegno di legge  S-2953  da
tempo rimasto arenato al Senato, dopo un lungo e molto ricco percorso
legislativo. Cio' evidenzia in modo inconfutabile che  si  tratta  di
normativa carente del requisito dell'urgenza e della necessita',  del
resto mai  nemmeno  invocato  in  sede  di  conversione.  Secondo  il
ricorrente, la natura di «normativa a regime, del  tutto  slegata  da
contingenze particolari, inserita tuttavia nella legge di conversione
di un decreto-legge», che  non  fa  riferimento  a  «situazioni  gia'
esistenti e bisognose di urgente  intervento  normativo,  ma  in  via
generale e ordinamentale per tutti i casi futuri» (cfr. sent.  n.  22
del 2012) e' dimostrata anche dal rinvio contenuto nell'art. 4-bis ad
un decreto del Ministro per la salute, da emanarsi di concerto con il
Ministro della giustizia sentita la Presidenza del Consiglio, per  la
determinazione della soglia  quantitativa  di  sostanza  stupefacente
oltre  la  quale  la  detenzione  puo'  essere  punita,  sicche'  per
l'integrale effettiva operativita' della normativa d'urgenza si  deve
addirittura attendere l'emanazione di  un  decreto  ministeriale.  La
difesa  pertanto  ribadisce  i  dubbi  di   incostituzionalita'   per
l'evidente insussistenza del caso di necessita' e di  urgenza  e  per
l'arbitraria disomogeneita' delle disposizioni introdotte rispetto al
contenuto del decreto-legge. Osserva che, d'altra  parte,  se  l'art.
4-bis  non  fosse  del  tutto  estraneo  rispetto  al  contenuto  del
decreto-legge,  sarebbe  evidente  la  sua  incostituzionalita'   per
l'impossibilita' di giustificarlo sotto il profilo  della  urgenza  e
necessita'. 
    3.3.  -  La  difesa,  infine,  prospetta  un  terzo   dubbio   di
legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis in  riferimento  all'art.
117, comma 1, Cost., sotto il profilo della rispondenza agli obblighi
di natura comunitaria. In particolare,  osserva  che  il  detto  art.
4-bis, nella parte in cui ha eliminato  la  dualita'  di  fattispecie
incriminatrici a  seconda  della  diversa  nocivita'  delle  sostanze
stupefacenti, si pone in aperta dissonanza  rispetto  agli  obiettivi
enunciati nel «considerato 5» e nell'art. 4  della  decisione  quadro
2004/757/GAI del Consiglio dell'UE, il che  determina  indirettamente
la violazione  dell'art.  117,  comma  1,  Cost.  Prospetta  altresi'
l'opportunita' di un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, gia' art.
234 TCE, alla Corte di Giustizia UE per verificare la compatibilita',
in via interpretativa, del citato  art.  4-bis  rispetto  all'art.  4
della  detta  decisione  quadro  2004/757/GAI,  nella  parte  in  cui
pretende da ciascuno Stato membro la previsione  di  «pene  detentive
effettive, proporzionate e dissuasive» in relazione anche al reato di
traffico di  sostanze  stupefacenti,  pene  gia'  in  via  indicativa
quantificate nel prosieguo del testo  normativo.  La  difesa  ricorda
inoltre che la  proporzionalita'  delle  pene  e'  principio  sancito
dall'art.  49,  comma  3,  della  Carta  dei   diritti   fondamentali
dell'Unione europea (CDFUE), laddove prevede che  «le  pene  inflitte
non devono essere  sproporzionate  rispetto  al  reato».  Secondo  la
difesa, l'eliminazione della distinzione tra c.d.  droghe  leggere  e
c.d. droghe pesanti e il rilevantissimo aumento delle  pene  edittali
per le condotte aventi ad oggetto le prime, non sarebbe conforme  ne'
al principio di proporzionalita' rispetto al disvalore espresso dalla
condotta   incriminatrice   ne'   all'esempio   di   proporzionalita'
predisposto a livello comunitario, con la medesima decisione  quadro,
con risposte sanzionatorie  differenziate  a  seconda  del  grado  di
offensivita' della condotta. La difesa ricorda inoltre  che,  con  la
trattatizzazione   della   Carta   di   Nizza,   il   principio    di
proporzionalita'  e'  entrato  a  far  parte  del  diritto   primario
dell'Unione europea,  vincolante  per  i  legislatori  nazionali.  Il
citato art. 4-bis, quindi, si porrebbe doppiamente in  contrasto  col
diritto  eurounitario:  sia  con  l'art.  4  della  decisione  quadro
2004/727/GAI, sia col principio di proporzionalita' delle pene di cui
all'art. 49, comma 3, della CDFUE. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Va innanzitutto valutato  se  le  prospettate  questioni  di
legittimita' costituzionale siano rilevanti nel presente giudizio.  A
tal fine e' indispensabile una preliminare delibazione sui primi  due
motivi di ricorso, il cui eventuale accoglimento, con una conseguente
pronuncia di annullamento con rinvio, renderebbe le questioni  stesse
irrilevanti. 
    Tali due motivi sembrano,  pero',  non  accoglibili,  perche'  si
risolvono in realta' in censure in punto  di  fatto  della  decisione
impugnata, con le quali si richiede una nuova e  diversa  valutazione
delle risultanze processuali, e perche' appaiono comunque  infondati,
avendo la corte d'appello  fornito  congrua,  specifica  ed  adeguata
motivazione sulle ragioni per le  quali  ha  ritenuto,  da  un  lato,
provata la responsabilita'  dell'imputato  e,  dall'altro  lato,  non
riconoscibile l'attenuante speciale del fatto di lieve entita' di cui
all'art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309 del 1990. 
    La prova del concorso dell'imputato nell'acquisto dell'hashish il
4 febbraio 2008 in Bologna, e' stata invero desunta dalla valutazione
complessiva degli indizi, ed in particolare dalla considerazione: che
dall'insieme  delle  intercettazioni  telefoniche  emergeva  che   il
viaggio era stato preventivamente concordato tra  i  due;  che  erano
irrilevanti alcuni rilievi della difesa; che la tesi del viaggio  per
vendere un quadro era inverosimile;  che  dal  verbale  di  sequestro
risultava che lo zainetto con la droga era occultato sotto il  sedile
del passeggero; che erano irrilevanti le modalita' con cui l'auto del
Maniscalco si era  fermata  in  autostrada  anche  perche'  egli  non
avrebbe potuto fuggire a piedi; che  quindi  non  era  necessaria  la
riapertura del dibattimento. 
    Il mancato riconoscimento della  attenuante  speciale  del  fatto
lieve e' stato poi plausibilmente motivato con la considerazione  che
l'imputato era consapevole del consistente quantitativo  di  sostanza
stupefacente trasportata sulla sua auto e che il suo  contributo  non
era  stato  lieve  ma  essenziale  per  la  riuscita  dell'operazione
concordata. 
    2. - La difesa ha altresi' chiesto la  riduzione  della  pena  in
modo da ottenere il beneficio della sospensione condizionale. 
    In relazione a questo motivo l'eccepita questione di legittimita'
costituzionale appare rilevante. I giudici del  merito  hanno  invero
fissato  come  pena  base  quella  di  anni  sei  di  reclusione   ed
€ 26.000,00 di multa, poi ridotta ad anni 4 di reclusione ed € 20.000
per le attenuanti generiche.  Stante  anche  l'assoluta  mancanza  di
motivazione sul  punto,  e'  evidente  che  la  pena  base  e'  stata
individuata nel minimo edittale fissato dal vigente  testo  dell'art.
73, comma 1, d.P.R. n.  309  del  9  ottobre  1990  (come  sostituito
dall'art.  4-bis  del  decreto-legge  30  dicembre  2005,   n.   272,
introdotto dalla legge di conversione 21 febbraio 2006,  n.  49),  il
quale appunto prevede la pena della reclusione da sei a venti anni  e
della multa da euro 26.000 a euro 260.000. Qualora invece la eccepita
questione di costituzionalita' fosse accolta e fosse quindi annullato
il citato art. 4-bis, con l'aumento di pena ivi previsto per le  c.d.
droghe leggere (e  fosse  conseguentemente  ripristinata  l'efficacia
della disposizione di cui al previgente testo dell'art.  73  che,  al
comma 4, prevedeva  per  la  sostanza  tipo  hashish  la  pena  della
reclusione da due a sei anni  e  la  multa  da  euro  5.164  ad  curo
77.468), la pena base,  e  quindi  anche  quella  finale,  dovrebbero
essere fissate in una  misura  notevolmente  inferiore,  quanto  meno
prossima al diverso minimo edittale di due anni di  reclusione.  Deve
invero  sicuramente  escludersi,  in  base  alla  motivazione   della
sentenza  impugnata  sulla  gravita'  del  reato  sotto  il   profilo
oggettivo e soggettivo, che nel caso in esame il  giudice  di  merito
avrebbe ugualmente fissato la pena base in sei  anni  di  reclusione,
ossia in una misura corrispondente non piu' al minimo ma  al  massimo
edittale. 
    Emerge da quanto sopra che la questione  rilevante  nel  presente
giudizio e  da  sottoporre  alla  Corte  costituzionale  deve  essere
circoscritta all'art. 4-bis del decreto-legge 30  dicembre  2005,  n.
272, introdotto dalla legge di conversione 21 febbraio 2006,  n.  49,
nella parte in cui, nel sostituire il precedente testo  dell'art.  73
del d.P.R. n. 309 del 9 ottobre 1990, ha abolito la  distinzione  tra
c.d. droghe leggere e droghe pesanti ed ha conseguentemente innalzato
in misura notevole  le  pene  edittali  relativamente  alle  condotte
aventi ad oggetto le sostanze stupefacenti c.d. leggere. 
    Sempre  in  relazione  alla  rilevanza  della  questione,   giova
sottolineare che ciascuna delle disposizioni e norme della  legge  di
conversione che qui vengono in rilievo sostituisce,  in  tutto  o  in
parte, e quindi abroga, la corrispondente disposizione  e  norma  del
testo unico  n.  309  del  1990,  sicche'  la  sua  dichiarazione  di
incostituzionalita' comporterebbe la reviviscenza delle seconde,  con
conseguente applicazione, nel caso di  specie,  del  piu'  favorevole
trattamento sanzionatorio previsto da queste  ultime  (pena  edittale
della reclusione da 2 a 6 anni e della multa da  euro  5.164  a  euro
77.468, anziche' della reclusione da 6 a 20 anni  e  della  multa  da
euro 26.000 a euro 260.000). 
    E' invero pacifico che l'accertamento della  invalidita'  di  una
norma abrogatrice  ed  il  suo  annullamento  da  parte  della  Corte
costituzionale, specialmente se per  vizi  di  forma  o  procedurali,
determina la caducazione  dell'effetto  abrogativo,  con  conseguente
ripristino della norma precedentemente abrogata,  come  costantemente
ritenuto dalla giurisprudenza costituzionale (sent. n. 108 del  1986;
n. 314 del 2009). 
    Va  ulteriormente  precisato   che   il   deteriore   trattamento
sanzionatorio stabilito nella suddetta norma dell'art.  4-bis,  trova
il suo presupposto nella unificazione delle tabelle che  identificano
le sostanze stupefacenti, con inclusione della cannabis  e  dei  suoi
prodotti nella prima delle  predette  tabelle.  Nel  caso  di  specie
appare  percio'  rilevante  anche  la   questione   di   legittimita'
costituzionale delle disposizioni di cui all'art. 4-vicies-ter, comma
2, lett. a) e comma 3, lett. a) n. 6, del decreto-legge  n.  272  del
2005, sostitutive, rispettivamente, degli artt. 13 e 14 del d.P.R. n.
309 del 1990. 
    3. - Appare opportuno ancora precisare che la  questione  che  in
questo giudizio assume rilevanza e viene  quindi  sollevata  riguarda
dunque le specifiche norme, come dianzi individuate e delimitate, che
eliminano la distinzione tra i due tipi di  sostanze  stupefacenti  e
conseguentemente aumentano le  pene  dianzi  previste  dall'art.  73,
comma 4, per le sostanze (nella specie, cannabis e suoi prodotti) che
erano indicate dalle tabelle II e IV dell'art. 14. 
    Invero, sebbene la questione venga  prospettata  con  riferimento
all'art. 77, comma 2, Cost, e quindi per  un  vizio  formale,  sembra
plausibile, stante il particolare tipo di vizio,  che  una  eventuale
pronuncia di annullamento possa incidere non sulle  disposizioni,  ma
sulle  singole  norme  introdotte  dalla  legge  di  conversione  che
dovessero essere ritenute  sganciate  dal  contenuto  originario  del
decreto-legge.  Difatti,   il   prospettato   vulnus   al   parametro
costituzionale  di  riferimento  non  discende   dall'operazione   di
integrazione, in se' considerata, bensi'  dalla  totale  estraneita',
per materia e finalita', delle norme inserite, con la conseguenza che
la verifica del rispetto del parametro va  condotta  caso  per  caso,
avuto riguardo al contenuto delle norme stesse. 
    4. - La questione  di  costituzionalita'  va  sollevata,  in  via
principale, in relazione alla seconda delle  tre  eccezioni  proposte
dalla difesa. 
    La  prima  eccezione  ha  ad  oggetto  sempre  l'art.  4-bis  del
decreto-legge n. 272 del 2005, in riferimento all'art. 77  Cost.,  ma
viene proposta  sotto  il  profilo  della  mancanza,  nel  testo  del
decreto-legge,  sia  del  presupposto  del  caso   straordinario   di
necessita' e di urgenza, sia del  requisito  della  omogeneita'  (con
riguardo all'oggetto ed alla  finalita').  L'eccezione  appare  pero'
prospettata in modo perplesso, dal momento che non e'  chiaro  se  la
censura si indirizza soltanto contro le  nuove  norme  introdotte  in
sede di conversione ovvero anche  avverso  il  testo  originario  del
provvedimento d'urgenza, il cui vizio si estenderebbe poi alle  norme
successivamente inserite. 
    In particolare, la denuncia di mancanza del necessario  carattere
della omogeneita' sembrerebbe riferita, piu' che alle norme aggiunte,
al testo  originario  del  decreto-legge,  dal  momento  che  vengono
specificamente elencate la pluralita' di materie distinte su cui esso
interveniva (assunzione di personale della Polizia di  Stato;  misure
per  l'amministrazione  civile  dell'interno;   finanziamento   delle
olimpiadi anche con istituzione di apposita lotteria;  esecuzione  di
pene detentive  per  tossicodipendenti  con  programmi  di  recupero;
diritto di voto degli italiani all'estero) e le differenti  finalita'
perseguite. 
    Deve allora osservarsi che,  in  quanto  si  rivolge  avverso  il
provvedimento  governativo,  l'eccezione  e'   comunque   irrilevante
perche' in questo giudizio non deve applicarsi  nessuna  delle  norme
dell'originario  decreto-legge,  e  cio'  a   prescindere   da   ogni
considerazione  circa  la  effettiva  ravvisabilita'  di   una   loro
disomogeneita' finalistica. Se  invece  si  rivolge  alle  norme  del
decreto come modificato dalla legge di  conversione,  l'eccezione  di
carenza di omogeneita' coincide con  la  seconda  eccezione,  perche'
cio' che rileva e' la disomogeneita', o meglio l'estraneita'  fra  le
norme introdotte  in  sede  di  conversione  ed  il  contenuto  o  la
finalita' del provvedimento d'urgenza. 
    Analogamente, anche la denuncia di mancanza del presupposto della
necessita'  ed  urgenza  sembrerebbe  rivolta  avverso   l'originario
decreto-legge, in quanto nella memoria si parla di vizio  non  sanato
dalla approvazione della legge di conversione e di  evidente  carenza
dell'urgenza per le disposizioni dirette a favorire il  recupero  dei
tossicodipendenti recidivi. Sotto questo aspetto, pero',  l'eccezione
e' anch'essa priva di rilevanza,  sempre  per  il  motivo  che  nella
specie non debbono applicarsi norme dell'originario decreto-legge,  a
prescindere  da  ogni  considerazione   sulla   sua   non   manifesta
infondatezza. Se invece la censura si rivolge avverso le nuove  norme
introdotte dalla legge di conversione, allora occorre distinguere. Se
si condivide la tesi, qui sostenuta, che queste norme sono del  tutto
estranee al contenuto ed alle finalita' del decreto-legge, allora non
ha importanza la sussistenza dei presupposti di necessita' ed urgenza
(sentenza n. 355 del 2010), atteso che e' stato spezzato il nesso  di
collegamento col provvedimento governativo e il vizio di legittimita'
si prospetta invece, come si  vedra',  proprio  in  ragione  di  tale
totale estraneita'. Se invece si ritenga che le nuove norme non siano
del  tutto  estranee,  neppure  in   questo   caso   l'eccezione   e'
manifestamente infondata e pertanto, come si chiarira' in seguito, la
relativa questione va sollevata in via subordinata. 
    5. - La terza  eccezione  di  costituzionalita'  prospettata  con
riferimento all'art. 117,  comma  1,  Cost.,  sotto  il  profilo  del
contrasto con la decisione quadro 2004/757/GAI del Consiglio  dell'UE
e col principio di proporzionalita' delle pene di  cui  all'art.  49,
comma 3, della Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione  europea,
resta assorbita dall'accoglimento della seconda eccezione relativa al
possibile contrasto con l'art. 77, comma 2, Cost. 
    6. - Quanto alla non manifesta infondatezza,  va  preliminarmente
ricordato che, come e' ben noto, nel caso in cui le parti prospettino
una questione di legittimita' costituzionale,  il  giudice  non  deve
stabilire  se  essa  sia  fondata  o  infondata,  compito  questo  di
esclusiva competenza della Corte costituzionale, bensi' unicamente se
sia o non  sia  manifestamente  infondata.  Il  giudice  deve  quindi
limitarsi ad una valutazione sommaria, per  rilevare  che  esista,  a
prima vista, un dubbio plausibile di costituzionalita' ed a  svolgere
un controllo finalizzato ad escludere le questioni prive di  serieta'
e di ponderazione, sollevate solo a fini dilatori. 
    Nella specie, la seconda questione di legittimita' costituzionale
prospettata dal ricorrente e', oltre che rilevante, anche plausibile,
non sollevata a fini meramente  dilatori,  e  dotata  di  serieta'  e
ponderazione. Sussiste  almeno  un  serio  dubbio  di  illegittimita'
costituzionale, il che  e'  sufficiente  ad  escludere  la  manifesta
infondatezza della questione. 
    7. - Cio' posto, si rammenta che la Corte costituzionale, con  la
sentenza n. 22 del 2012, ha ricordato come uno degli indici  in  base
ai quali verificare se in un decreto-legge «risulti evidente  o  meno
la  carenza  del  requisito  della  straordinarieta'  del   caso   di
necessita' e d'urgenza di provvedere», e' costituito dalla  «evidente
estraneita'» della norma censurata rispetto alla materia disciplinata
da altre disposizioni del decreto-legge in cui e' inserita (sent.  n.
171  del  2007;  sent.  n.  128  del  2008).  Il  riconoscimento  dei
presupposti di cui  all'art.  77,  secondo  comma,  Cost.  e'  quindi
collegato «ad una intrinseca coerenza delle  norme  contenute  in  un
decreto-legge, o dal punto di vista  oggettivo  e  materiale,  o  dal
punto di vista funzionale e finalistico. La  urgente  necessita'  del
provvedere puo' riguardare una pluralita' di norme  accomunate  dalla
natura  unitaria  delle  fattispecie   disciplinate,   ovvero   anche
dall'intento di fronteggiare  situazioni  straordinarie  complesse  e
variegate,  che  richiedono  interventi  oggettivamente   eterogenei,
afferenti quindi a materie diverse, ma indirizzati all'unico scopo di
approntare rimedi  urgenti  a  situazioni  straordinarie  venutesi  a
determinare». Da cio' la Corte  ha  tratto  la  conclusione  che  «la
semplice immissione di una disposizione nel corpo di un decreto-legge
oggettivamente o teleologicamente unitario non  vale  a  trasmettere,
per cio' solo, alla stessa il  carattere  di  urgenza  proprio  delle
altre disposizioni, legate tra loro dalla comunanza di oggetto  o  di
finalita'». Pertanto, «l'inserimento di norme eterogenee  all'oggetto
o alla finalita' del decreto spezza il legame logico-giuridico tra la
valutazione fatta dal  Governo  dell'urgenza  del  provvedere  ed  "i
provvedimenti provvisori con forza di  legge''».  Invero,  la  «ratio
implicita  nel  secondo  comma  dell'art.   77   Cost.,   impone   il
collegamento  dell'intero  decreto-legge  al  caso  straordinario  di
necessita'  e  urgenza,  che  ha  indotto  il  Governo  ad  avvalersi
dell'eccezionale potere di esercitare la funzione  legislativa  senza
previa  delegazione  da  parte  del  Parlamento»,  e  di  tale  ratio
costituisce esplicitazione,  pur  non  avendo  rango  costituzionale,
l'art. 15, comma 3, della legge  23  agosto  1988,  n.  400,  laddove
prescrive che il contenuto del decreto-legge «deve essere  specifico,
omogeneo e corrispondente al titolo». 
    Per quanto concerne in particolare la legge  di  conversione,  la
citata  sent.  n.  22  del  2012  ha  affermato  che  «La  necessaria
omogeneita' del decreto-legge, la cui interna coerenza va valutata in
relazione  all'apprezzamento  politico,   operato   dal   Governo   e
controllato  dal  Parlamento,  del  singolo  caso  straordinario   di
necessita'  e  urgenza,  deve  essere  osservata   dalla   legge   di
conversione». La  Corte  ha  quindi  enunciato  il  «principio  della
sostanziale  omogeneita'  delle  norme  contenute  nella   legge   di
conversione di un decreto-legge», principio costituzionale confermato
dal regolamento del Senato e richiamato da  messaggi  e  lettere  del
Presidente della Repubblica. Alla stregua  di  tale  principio,  deve
dunque ritenersi che «l'esclusione  della  possibilita'  di  inserire
nella legge di conversione di un decreto-legge emendamenti del  tutto
estranei all'oggetto  e  alle  finalita'  del  testo  originario  non
risponda soltanto ad esigenze di  buona  tecnica  normativa,  ma  sia
imposta dallo stesso art. 77, secondo comma, Cost., che istituisce un
nesso di interrelazione funzionale  tra  decreto-legge,  formato  dal
Governo ed emanato  dal  Presidente  della  Repubblica,  e  legge  di
conversione,  caratterizzata  da  un  procedimento  di   approvazione
peculiare rispetto a quello ordinario», anche sotto il profilo  della
particolare rapidita' e della necessaria accelerazione dei  tempi  di
questo procedimento. 
    La  Corte  costituzionale  ha  riconosciuto  che  le  Camere  ben
possono,   «nell'esercizio   della   propria    ordinaria    potesta'
legislativa, apportare emendamenti al testo  del  decreto-legge,  che
valgano a modificare la disciplina normativa  in  esso  contenuta,  a
seguito  di  valutazioni  parlamentari  difformi  nel  merito   della
disciplina, rispetto agli stessi oggetti o in  vista  delle  medesime
finalita'», o anche solo per esigenze meramente tecniche  o  formali,
ma ha specificato che  esorbita  invece  dalla  sequenza  tipica  del
procedimento «l'alterazione dell'omogeneita' di fondo della normativa
urgente, quale risulta dal testo originario, ove questo, a sua volta,
possieda  tale  caratteristica»  (in  caso  contrario  vi   sarebbero
problemi di legittimita' dello stesso decreto-legge). In  definitiva,
«l'innesto   nell'iter   di   conversione   dell'ordinaria   funzione
legislativa  puo'  certamente  essere  effettuato,  per  ragioni   di
economia procedimentale, a patto di non spezzare il legame essenziale
tra decretazione d'urgenza e potere di conversione.  Se  tale  legame
viene interrotto, la violazione dell'art. 77, secondo  comma,  Cost.,
non deriva dalla mancanza dei presupposti di necessita' e urgenza per
le norme eterogenee aggiunte, che,  proprio  per  essere  estranee  e
inserite successivamente, non possono collegarsi  a  tali  condizioni
preliminari (sentenza n. 355 del 2010), ma per  l'uso  improprio,  da
parte  del  Parlamento,  di  un  potere  che  la   Costituzione   gli
attribuisce, con speciali modalita' di procedura, allo  scopo  tipico
di convertire, o  non,  in  legge  un  decreto-legge».  In  sostanza,
secondo  questa  sentenza  costituzionale,  le  norme  inserite   nel
decreto-legge nel corso del procedimento  di  conversione  che  siano
«del tutto estranee alla materia e alle finalita' del medesimo», sono
costituzionalmente illegittime, per violazione dell'art. 77,  secondo
comma, Cost. 
    Questi  principi  sono   stati   poi   confermati   dalla   Corte
costituzionale con l'ordinanza n. 34 del  2013,  che  ha  ribadito  i
limiti alla emendabilita' del decreto-legge indicati  dalla  sentenza
n. 22 del 2012 «in una prospettiva contenutistica ovvero finalistica,
richiamando le norme procedimentali che riflettono  la  natura  della
legge di conversione come legge  «funzionalizzata  e  specializzata»,
che non puo' aprirsi a  qualsiasi  contenuto  ulteriore».  Le  Camere
pertanto possono emendare il testo del decreto-legge nel rispetto del
contenuto o della finalita' del  provvedimento  governativo  e,  «nel
caso di provvedimenti governativi ab origine a contenuto  eterogeneo,
il limite all'introduzione  di  ulteriori  disposizioni  in  sede  di
conversione e' costituito dal rispetto della ratio». Quando le  norme
introdotte in sede di conversione  risultassero  del  tutto  estranee
alla ratio  del  decreto-legge,  si  registrerebbe  uno  «scostamento
intollerabile   della    funzione    legislativa»    dal    parametro
costituzionale. 
    Insomma, secondo la Corte costituzionale, le  norme  aggiunte  in
sede di conversione, ove siano del tutto eterogenee  al  contenuto  o
alle ragioni di necessita' ed urgenza  proprie  del  decreto,  devono
ritenersi illegittime perche' esorbitano dal  potere  di  conversione
attribuito dalla Costituzione al Parlamento. 
    Questi principi sono stati poi ricordati, dopo la sentenza n.  22
del 2012, dal Presidente della  Repubblica  in  una  lettera  del  22
febbraio 2012  ai  Presidenti  delle  Camere  ed  al  Presidente  del
Consiglio dei  ministri,  con  la  quale,  richiamati  il  precedente
messaggio presidenziale del 29 marzo 2002 (di rinvio del  disegno  di
legge di conversione del decreto-legge n. 4 del 2002), viene ribadita
«la necessita' di limitare gli emendamenti ammissibili,  in  sede  di
conversione dei  decreti-legge,  a  quelli  sostanzialmente  omogenei
rispetto al testo originario del  decreto,  in  considerazione  della
particolare   disciplina   costituzionale   e    regolamentare    del
procedimento di conversione nonche' a garanzia del vaglio  preventivo
spettante al Presidente della Repubblica in sede  di  emanazione  del
decreto-legge e di quello  successivo  sulla  legge  di  conversione,
anche per la difficolta' di esercitare la facolta' di rinvio prevista
dall'art. 74 della Costituzione in  prossimita'  della  scadenza  del
termine tassativo di 60 giorni fissato per la conversione in legge» e
viene ricordato che il mancato rispetto  di  tale  regola  espone  le
disposizioni  «al  rischio  di  annullamento  da  parte  della  Corte
costituzionale  per  ragioni  esclusivamente  procedimentali  ma   di
indubbio rilievo istituzionale». 
    8. - Le disposizioni e le norme che qui vengono  in  rilievo  non
facevano parte del testo originario del decreto-legge sottoposto alla
firma del Presidente della Repubblica, ma  sono  state  inserite  nel
decreto-legge n. 272 del 2005 per effetto di emendamenti approvati in
sede di conversione. Si tratta di norme facenti parte di un corpo  di
nuove disposizioni, con le quali non vengono disciplinate  situazioni
esistenti e bisognose di urgente intervento normativo per le  ragioni
che  avevano  ispirato  il  decreto-legge,  bensi'  viene  posta  una
normativa «a regime» sulla disciplina delle condotte illecite  aventi
ad   oggetto   sostanze   stupefacenti.   Questa   nuova    normativa
effettivamente appare del tutto slegata da contingenze particolari ed
e' stata  tuttavia  introdotta  dalla  legge  di  conversione  in  un
decreto-legge  avente  contenuto  e  finalita'  del  tutto  estranei,
denominato  «Misure  urgenti  per  garantire  la   sicurezza   ed   i
finanziamenti  per  le  prossime  Olimpiadi  invernali,  nonche'   la
funzionalita'  dell'Amministrazione  dell'interno.  Disposizioni  per
favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi». 
    Il preambolo del provvedimento provvisorio  con  forza  di  legge
cosi' recita: «Ritenuta la straordinaria  necessita'  ed  urgenza  di
prevenire e contrastare  il  crimine  organizzato  ed  il  terrorismo
interno ed  internazionale,  anche  per  le  esigenze  connesse  allo
svolgimento delle prossime Olimpiadi invernali, nonche' di assicurare
la funzionalita' dell'Amministrazione dell'interno. Ritenuta altresi'
la straordinaria necessita' ed urgenza di garantire  l'efficacia  dei
programmi terapeutici di recupero per le tossicodipendenze  anche  in
caso di recidiva». 
    Il   testo   originario   conteneva   sei   articoli,   rubricati
rispettivamente: «Assunzione di personale  della  Polizia  di  Stato»
(art. 1) al fine «di prevenire e contrastare il  crimine  organizzato
ed il terrorismo interno ed internazionale,  anche  per  le  esigenze
connesse allo svolgimento  delle  Olimpiadi  invernali,  nonche'  per
assicurare  la  funzionalita'   dell'Amministrazione   dell'interno»;
«Personale della carriera prefettizia» (art. 2);  «Finanziamenti  per
le Olimpiadi invernali» (art. 3), anche con  la  istituzione  di  una
lotteria   istantanea;   «Esecuzione   delle   pene   detentive   per
tossicodipendenti in programmi di recupero»  (art.  4);  «Adempimenti
finalizzati all'esercizio del diritto di voto dei cittadini  italiani
residenti all'estero» (art. 5); «Entrata in vigore» (art. 6). 
    Le finalita' pertanto  erano  diverse:  rafforzare  le  forze  di
polizia e la funzionalita' del ministero dell'interno per prevenire e
combattere la criminalita' organizzata e il  terrorismo  nazionale  e
internazionale;  garantire  il   finanziamento   per   le   olimpiadi
invernali;  favorire  il  recupero  dei  tossicodipendenti  detenuti;
assicurare il diritto di voto degli italiani residenti all'estero.  E
tuttavia, almeno per  molte  delle  disposizioni,  si  sarebbe  forse
potuta anche ravvisare una certa sostanziale omogeneita' finalistica,
una comunanza di ratio,  individuabile  probabilmente  nella  urgente
necessita'  di  garantire  l'effettivo  e  sicuro  svolgimento  delle
olimpiadi invernali. 
    Nel testo originario del decreto erano quindi contenute due  sole
disposizioni, inserite nell'art. 4,  che  riguardavano  non  gia'  la
disciplina delle sostanze stupefacenti, quanto piuttosto lo specifico
e circoscritto tema dell'esecuzione di pene detentive  nei  confronti
di  tossicodipendenti  recidivi  che  avessero  in  corso   programmi
terapeutici di recupero  presso  servizi  pubblici  o  una  struttura
autorizzata. 
    In particolare, il citato art. 4 si limitava a statuire in ordine
all'abrogazione  dell'art.  94-bis  del  d.P.R.  n.  309  del   1990,
introdotto dalla allora recentissima legge 5 dicembre  2005,  n.  251
(c.d. legge ex Cirielli), con la specifica finalita' di  evitare  che
le  innovazioni  portate  da  tale  legge  potessero   causare   come
conseguenza  una  massiva  e  pregiudizievole  ricarcerizzazione   di
condannati tossicodipendenti, categoria questa ritenuta  naturalmente
recidivante. 
    Ed invero, l'art. 8 della detta legge 5 dicembre  2005,  n,  251,
aggiungendo  l'art.  94-bis  al  d.P.R.  n.  309   del   1990   sugli
stupefacenti, riduceva da 4 a 3 anni, per i recidivi, la pena massima
che consentiva l'affidamento in prova finalizzato all'attuazione  del
programma terapeutico; mentre l'art. 9, aggiungeva la lettera  c)  al
comma 9 dell'art. 656 cod. proc. pen., escludendo  dalla  sospensione
della esecuzione della pena i recidivi, compresi i  tossicodipendenti
che avessero gia' in  corso  un  programma  terapeutico.  Dopo  pochi
giorni  dalla   loro   entrata   in   vigore,   queste   disposizioni
(effettivamente dissonanti rispetto al disegno di  legge  governativo
sugli  stupefacenti  da  tempo  fermo  al  Senato)  furono  eliminate
dall'art. 4 del decreto-legge 30 dicembre  2005,  n.  272,  il  quale
dispose: a) l'abrogazione del citato art.  94-bis  appena  introdotto
dall'art. 8 della legge ex Cirielli; b) la modifica della lettera  c)
aggiunta dall'art. 9 di detta legge al comma 9 dell'art. 656 del cod.
proc. pen., nel senso di ripristinare la sospensione della esecuzione
della pena fino a  4  anni  per  i  tossicodipendenti  con  programma
terapeutico in atto, anche se recidivi. Come si  e'  gia'  ricordato,
nel preambolo del decreto-legge le disposizioni dell'art.  4  vennero
appunto giustificate con la «straordinaria necessita' ed  urgenza  di
garantire l'efficacia dei programmi terapeutici di  recupero  per  le
tossicodipendenze anche in caso di recidiva». 
    Facendo riferimento a detto art. 4, nella seduta del  Senato  del
19  gennaio  2006,  fu   presentato,   direttamente   in   aula,   un
maxiemendamento governativo,  interamente  sostitutivo  dell'articolo
unico del disegno di legge di conversione del decreto-legge  n.  272,
nel quale venne inserita una buona parte del  contenuto  del  disegno
S-2953,  del  novembre  2003,  fermo  nelle  competenti   Commissioni
referenti  del  Senato,  e  cioe'  una  articolata  ed  ampia   nuova
disciplina  della  materia  in  sostituzione   delle   corrispondenti
disposizioni del testo  unico  sulle  sostanze  stupefacenti  di  cui
d.P.R. n. 309 del 1990. Nella seduta alla Camera del 6 febbraio 2006,
poi, il Governo pose la fiducia sul disegno di legge  di  conversione
nel testo delle Commissioni, identico a  quello  gia'  approvato  dal
Senato. 
    9. - Ora, appare non manifestamente infondato il  dubbio  di  una
profonda distonia di contenuto,  di  finalita'  e  di  ratio  tra  il
decreto-legge  n.  272  del  2005  in  generale,  e  anche   tra   le
disposizioni dell'art. 4 in particolare, e le nuove norme  introdotte
in sede di conversione con le quali e'  stata  sostanzialmente  posta
una nuova disciplina a regime sulle sostanze stupefacenti in sede  di
conversione.  La  distonia  appare  evidente  se  si   considera   la
finalita', la ratio, ossia la ragione di  necessita'  e  urgenza  che
giustificava il decreto-legge nel suo complesso, che  era  quella  di
garantire, sotto l'aspetto finanziario e di polizia, un  effettivo  e
sicuro svolgimento delle prossime olimpiadi invernali. 
    Ma la distonia contenutistica  e  teleologica  appare  sussistere
anche se ci si limita a considerare l'art. 4  del  decreto,  e  cioe'
l'unica disposizione che aveva un labile riferimento  al  tema  degli
stupefacenti, ed anzi, piu'  precisamente,  al  tema  dell'esecuzione
delle  pene  detentive  per  gli  assuntori  abituali   di   sostanze
stupefacenti  condannati.  Questo  articolo,  infatti,  non   toccava
nemmeno incidentalmente o indirettamente la  materia  delle  sostanze
stupefacenti  e  la  disciplina  del  trattamento  sanzionatorio  dei
relativi illeciti, ma riguardava esclusivamente  aspetti  concernenti
le  modalita'  di  esecuzione  della  pena  per  i  tossicodipendenti
recidivi gia' condannati, tanto  che  recava  il  titolo  «Esecuzione
delle pene detentive per tossicodipendenti in programmi terapeutici»,
mentre nel preambolo del provvedimento d'urgenza si dichiarava che la
sua ratio e  finalita'  era  quella  di  «garantire  l'efficacia  dei
programmi terapeutici di recupero per le tossicodipendenze  anche  in
caso di recidiva». Era dunque  questo  il  «caso  straordinario»  che
giustificava la «necessita' e urgenza» di  provvedere  e  legittimava
l'esercizio della funzione legislativa  senza  delega  da  parte  del
Parlamento. Con la legge di conversione, invece, l'art. 4 venne fatto
seguire da una serie di ben 23 articoli aggiuntivi  (dall'art.  4-bis
all'art. 4-vicies-ter, a loro volta articolati in numerosissimi commi
e con i relativi allegati), che non apportavano modifiche in  qualche
grado interrelate funzionalmente con  le  previsioni  dell'originario
art. 4, bensi' modificavano profondamente  l'assetto  disciplinatorio
«a regime» in materia di stupefacenti. 
    Per quanto piu' specificamente concerne  le  norme  rilevanti  in
questo giudizio, con  questi  articoli  aggiuntivi,  sostituendo,  in
parte  qua,  il  precedente   testo   dell'art.   73,   si   incideva
pervasivamente, tra l'altro, sul previgente  sistema  classificatorio
delle  sostanze  stupefacenti  e  psicotrope  (riducendo  le  quattro
tabelle  previgenti  ad  una  sola,  nella  quale  erano  convogliate
indifferentemente   tutte   le    sostanze    considerate    comunque
stupefacenti) nonche' in misura notevole sulle pene edittali per  gli
illeciti aventi ad oggetto c.d. droghe leggere, equiparate  a  quelle
pesanti (oltre che su altri importanti aspetti che  non  rilevano  in
questo giudizio, come  la  soglia  quantitativa  oltre  la  quale  la
detenzione e' punibile,  le  conseguenze  amministrative,  le  misure
restrittive della liberta' personale e di movimento nei confronti  di
«qualificati» assuntori di stupefacenti, e cosi' via). 
    Secondo la richiamata giurisprudenza della Corte  costituzionale,
l'oggetto della legge di conversione deve tendere  a  coincidere  con
quello del decreto di urgenza e comunque le nuove norme da essa poste
devono possedere una omogeneita'  funzionale-finalistica  con  quelle
del decreto originario. Ora, non appare  sussistere  una  tendenziale
coincidenza,  una  omogeneita'  materiale  e   teleologica   tra   la
disposizione abrogatrice contenuta nell'art. 4 del decreto  d'urgenza
e la riforma organica del testo unico sugli stupefacenti posta con la
legge di conversione, o almeno, per quanto qui rileva, con  l'aumento
delle pene per le c.d. droghe  leggere  e  la  loro  parificazione  a
quelle c.d. pesanti. Invero, l'unica norma in materia di stupefacenti
aggiunta in sede di conversione che non  appare  del  tutto  estranea
alla ratio dell'art. 4 e' l'art.  4-undecies,  strettamente  connesso
all'esecuzione del programma terapeutico del tossicodipendente. 
    Puo' osservarsi che qualora si ritenesse che la mera  circostanza
che il primo comma dell'art. 4 richiamava,  per  sopprimerlo,  l'art.
94-bis del d.P.R. n. 309 del 1990 (ivi inserito da  22  giorni),  sia
sufficiente a rendere  «non  del  tutto  estranea»  alle  ragioni  di
necessita' e urgenza che lo  supportavano  l'intera  riscrittura  del
testo  unico  sugli  stupefacenti,  allora,  seguendo   il   medesimo
ragionamento, dovrebbe pure ritenersi che, poiche' il  secondo  comma
del medesimo art. 4 richiamava, per modificarlo, l'art. 656, comma 9,
lett. c), cod. proc. pen., nel caso di specie si sarebbe potuto  pure
riscrivere, con apposito  maxiemendamento  -  saltando  quindi  anche
l'esame in sede referente -  tutta  la  disciplina  sulla  esecuzione
penale. In tal modo si consentirebbe ad  ogni  Governo,  e  alla  sua
maggioranza,  di  approfittare  di  qualunque,  anche  marginale   ed
effimera, «emergenza» per riformare interi settori  dell'ordinamento,
utilizzando l'eccezionale potere di legiferare mediante provvedimenti
d'urgenza  e  la   speciale   procedura   privilegiata   della   loro
conversione, che al contrario costituisce una fonte funzionalizzata e
specializzata. 
    Appare  dunque  non   manifestamente   infondato   ritenere   che
l'introduzione delle nuove  norme,  ed  in  particolare  delle  norme
dianzi indicate poste dagli artt.  4-bis  e  4-vicies-ter,  comma  2,
lett. a) e comma 3, lett. a) n. 6, abbia travalicato i  limiti  della
potesta'  emendativa  del  Parlamento  tracciati   dalle   richiamate
pronunce della Corte costituzionale. 
    10. - Puo' aggiungersi che  la  totale  estraneita'  delle  nuove
norme rispetto all'oggetto ed alle  finalita'  del  decreto-legge  fu
evidenziata anche in sede parlamentare gia' col parere sul disegno di
legge n. 6297 espresso dal Comitato per la legislazione della  Camera
nella seduta  del  1°  febbraio  2006  col  quale  si  richiamava  il
messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica  del  29  marzo
2002 di rinvio della legge di conversione del decreto-legge n. 4  del
2002,  e  si  prospettava  la  contrarieta'  delle  nuove  norme  con
«l'esigenza  di  garantire  la  specificita'  e   l'omogeneita'   dei
contenuti normativi recati nei provvedimenti di urgenza  anche  nella
fase di esame parlamentare». La mancanza di  omogeneita'  fu  inoltre
manifestata da  diversi  parlamentari  della  minoranza  in  sede  di
dibattito sulla legge di conversione sia al Senato sia alla Camera. 
    D'altronde,  potrebbe  ritenersi  che   la   totale   estraneita'
all'oggetto ed alla ratio  originari  del  provvedimento  governativo
d'urgenza delle modifiche al testo unico sugli stupefacenti sia stata
ammessa ed enunciata dalla stessa legge di conversione, la quale,  da
ultimo, ha aggiunto nel titolo del decreto-legge le seguenti  parole:
«e modifiche al testo unico delle  leggi  in  materia  di  disciplina
degli  stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura   e
riabilitazione dei relativi stati di  tossicodipendenza,  di  cui  al
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309». 
    Questa aggiunta sembra appunto mostrare  che  la  modifica  della
normativa sugli stupefacenti di cui al d.P.R.  n.  309  del  1990  (a
parte la specifica e limitatissima norma sulla esecuzione della  pena
detentiva   per   i   tossicodipendenti   recidivi)   non   rientrava
nell'oggetto  e   nelle   finalita'   dell'originario   provvedimento
normativo come configurato dal  Governo  ed  emanato  dal  Presidente
della  Repubblica,  altrimenti  non  si   sarebbe   reso   necessario
modificarne il titolo aggiungendovi  un  nuovo  oggetto.  Ne'  sembra
potersi ritenere che  con  questo  escamotage,  ossia  modificando  e
ampliando lo stesso titolo del decreto-legge in sede di  conversione,
si  possano  legittimamente  inserire   nel   testo   dell'originario
decreto-legge norme «del tutto estranee alla materia e alle finalita'
del  medesimo»,  in  sostanziale  elusione  del  ricordato  principio
costituzionale posto dall'art. 77, secondo comma, Cost. 
    Per completezza puo' altresi' osservarsi che nel  caso  in  esame
gli aspetti  patologici  delle  modalita'  di  svolgimento  dell'iter
legislativo potrebbero apparire ancora maggiori di quelli che avevano
indotto il Presidente della Repubblica  a  rinviare  alle  Camere  la
legge di conversione del decreto-legge 25 gennaio 2002, n.  4.  Nella
specie, invero, la legge di conversione fu definitivamente  approvata
l'8 febbraio, ossia  pochi  giorni  prima  dello  scioglimento  delle
Camere e dell'inizio delle olimpiadi,  e  fu  poi  promulgata  il  21
febbraio. Quindi il Presidente della Repubblica, non potendo disporre
un rinvio parziale, avrebbe potuto esercitare la sua  prerogativa,  a
Camere  sciolte  e  nell'imminenza  della  scadenza  del  termine  di
conversione, solo assumendosi la responsabilita' di mettere a rischio
le esigenze di sicurezza e lo stesso svolgimento delle  olimpiadi  di
Torino. 
    Puo' ancora osservarsi come il vulnus al sistema di  ripartizione
delle competenze normative  costituzionalmente  configurato  potrebbe
derivare anche dal c.d. abuso della prassi, da tempo invalsa, con cui
il Governo presenta, nella prima lettura  parlamentare  dell'articolo
unico del  disegno  di  legge  di  conversione,  un  maxi-emendamento
innovativo rispetto al contenuto  originario  del  decreto-legge,  al
fine di sostituirne parzialmente o interamente il testo e  sul  quale
sara' poi posta la questione di fiducia. In  tal  modo  il  contenuto
della  legge  di  conversione  viene   svincolato   da   quello   del
decreto-legge, ed e' possibile approvare con un solo  voto,  con  una
discussione  ridotta  al  minimo  e  senza  possibilita'   da   parte
dell'assemblea di votare emendamenti, una disciplina legislativa  del
tutto nuova e completamente sganciata dal  contenuto  originario  del
decreto. In questo modo, in sostanza, il procedimento di  conversione
previsto dall'art. 77 Cost. non serve piu' a convertire in  legge  il
contenuto di quei provvedimenti provvisori adottati  dal  Governo  in
casi straordinari di necessita' e di  urgenza,  ma  viene  utilizzato
come escamotage per far approvare un'iniziativa legislativa del tutto
nuova, di  fatto  inemendabile,  eludendo  le  regole  ordinarie  del
procedimento legislativo. 
    11.  -  Di  conseguenza,  l'indicata  questione  di  legittimita'
costituzionale in riferimento all'art. 77,  secondo  comma,  Cost.  -
prospettata  sotto  profilo  della   totale   estraneita',   rispetto
all'oggetto ed alle finalita' del decreto-legge, delle norme aggiunte
in sede  di  conversione  con  cui  e'  stata  introdotta  una  nuova
disciplina «a regime» in  materia  di  sostanze  stupefacenti,  e  in
particolare, mediante la sostituzione del precedente testo  dell'art.
73 (nonche' degli artt. 13 e 14), e' stata eliminata  la  distinzione
fra tali sostanze e previsto un aumento delle pene per  gli  illeciti
relativi a quelle gia' indicate nelle tabelle II e IV dell'art. 14  -
appare plausibile, seria e non manifestamente infondata  ed,  essendo
rilevante nel giudizio,  merita  di  essere  sottoposta  al  naturale
sindacato del giudice delle leggi. 
    12. - Deve altresi' essere sollevata in via  subordinata  l'altra
questione eccepita sempre in riferimento all'art. 77 Cost., ma  sotto
il profilo della carenza del presupposto della necessita' ed urgenza.
Come si e' dianzi osservato, si ritiene  ravvisabile,  per  i  motivi
indicati, una totale estraneita' ed eterogeneita' tra le nuove  norme
ed il contenuto e le finalita' di quelle del decreto-legge, e proprio
sotto  questo  profilo  viene  sollevata  questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    Qualora pero' la Corte costituzionale dovesse invece ritenere che
le norme dianzi specificate «non siano del tutto estranee rispetto al
contenuto  della  decretazione  d'urgenza»,  allora  dovrebbe  essere
effettuata anche per esse la valutazione in termini di  necessita'  e
di urgenza. Non appare invero  manifestamente  infondata  l'eccezione
subordinata della difesa secondo cui il  difetto  di  tale  requisito
sarebbe evidente (nel senso indicato dalla sentenza n. 171 del 2007),
risultando  da  diversi  indici  anche  emergenti   dal   testo   del
decreto-legge come convertito. 
    Va   invero   qui   sommariamente   ricordato   che   la    Corte
costituzionale, con la sentenza n. 171 del 2007, ha ritenuto che  non
e' possibile sottrarre il decreto-legge al sindacato di  legittimita'
per difetto del presupposto della necessita' ed urgenza a causa della
sua conversione, giacche' «affermare che la legge di conversione sana
in ogni  caso  i  vizi  del  decreto  significherebbe  attribuire  in
concreto al legislatore ordinario il potere di  alterare  il  riparto
costituzionale delle competenze del Parlamento e del  Governo  quanto
alla produzione delle  fonti  primarie».  Tale  sindacato,  peraltro,
veniva limitato, da  questa  sentenza,  agli  aspetti  di  «evidente»
carenza dei suddetto requisito. La Corte, in sostanza, attraverso  la
via delle  «norme  intruse»  giunse  a  scrutinare  la  mancanza  dei
presupposti, dichiarando incostituzionale  una  disposizione  tesa  a
correggere un problema di ineleggibilita'  del  sindaco  di  Messina,
aggiunta in sede di conversione ad un decreto relativo  alla  materia
della finanza degli enti locali. 
    Anche con la  sentenza  n.  128  del  2008,  la  Corte  dichiaro'
l'illegittimita' di una norma, aggiunta in sede di  conversione,  che
disponeva l'esproprio del teatro Petruzzelli in favore del Comune  di
Bari, per l'assenza di collegamento con  le  altre  disposizioni  (in
materia tributaria e finanziaria) del decreto-legge, sintomo peraltro
della sua estraneita' alle ragioni  di  straordinaria  necessita'  ed
urgenza che lo giustificavano. 
    In entrambi questi casi la Corte, attraverso la  verifica  di  un
collegamento tra disposizione introdotta in sede di conversione  e  i
presupposti  del  decreto,  ha  verificato  se  i   presupposti   del
decreto-legge originario potessero reggere anche le norme aggiunte. 
    Sulla base di questa giurisprudenza costituzionale si  e'  quindi
ritenuto che tutte le disposizioni di un decreto-legge devono  essere
ancorate al  presupposto  del  caso  straordinario  di  necessita'  e
urgenza che legittima l'esercizio del potere legislativo senza delega
da parte del Governo. E l'estraneita' di taluna di dette disposizioni
alla disciplina cui il presupposto  della  necessita'  e  urgenza  si
riferisce, sarebbe  segno  evidente  della  carenza  del  presupposto
stesso, che non puo' essere sanata dalla conversione del decreto.  Si
aggiunge che, se e' vero che la legge di conversione non puo'  sanare
l'assenza  dei   requisiti   di   taluna   delle   disposizioni   del
decreto-legge,  dovrebbe  anche  ritenersi  che  essa  neppure  possa
legittimamente inserire ex novo nel decreto disposizioni che appaiono
estranee alle ragioni di necessita' e  urgenza  che  giustificano  le
norme del decreto stesso. 
    Sul punto, peraltro, con la sentenza n. 355 del 2010, la Corte ha
cercato di distinguere  tra  «norme  aggiunte  eterogenee»  e  «norme
aggiunte  non  eterogenee»,  sottolineando  che   va   «ulteriormente
precisato che la valutazione in termini di necessita'  e  di  urgenza
deve essere indirettamente  effettuata  per  quelle  norme,  aggiunte
dalla legge di conversione del decreto-legge, che non siano del tutto
estranee rispetto al contenuto della decretazione d'urgenza»,  mentre
questa  valutazione  non  occorre  quando  la  norma   aggiunta   sia
eterogenea rispetto al detto contenuto, essendo tale eterogeneita' di
per  se'  sintomo  della  mancanza  dei  presupposti.  Anche   questa
sentenza,  quindi,  ha  confermato  il   principio   che   tutte   le
disposizioni  del  decreto-legge  convertito,  ivi  comprese   quelle
introdotte con la legge di conversione e  non  del  tutto  dissonanti
rispetto  al  contenuto  originario  del   decreto,   devono   essere
assistite, pena l'illegittimita', dai requisiti  della  straordinaria
necessita' e urgenza. 
    Con la gia'  ampiamente  richiamata  sentenza  n.  22  del  2012,
infine, la Corte ha scelto di non seguire la linea della verifica dei
presupposti della disposizione aggiunta, ma  ha  limitato  la  stessa
possibilita' di emendare il decreto,  in  base  alla  funzione  della
conversione, rinforzando il collegamento funzionale tra i  due  atti,
alla stregua delle tesi piu' tradizionali che vedevano  la  legge  di
conversione come «condizionata» alla disciplina adottata dal governo. 
    Nel caso in esame, pertanto, qualora si  ritenesse  infondata  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  qui  sollevata  in   via
principale  per  la  ragione  che  le  nuove  norme  in  materia   di
stupefacenti  non  si  trovino   «in   una   condizione   di   totale
eterogeneita' rispetto al contenuto del decreto-legge» in virtu'  del
formale aggancio all'art. 4 del medesimo, dovrebbe  svolgersi  su  di
esse il sindacato  di  sussistenza  del  necessario  requisito  della
necessita' ed urgenza. 
    13. - Sotto questo profilo non  appare  manifestamente  infondata
l'eccezione, proposta in via subordinata, secondo cui la mancanza del
requisito appare nella specie «evidente». Puo' innanzitutto rilevarsi
la assoluta mancanza  di  una  motivazione  nel  preambolo  dell'atto
normativo  e  nella  discussione  parlamentare,  su quale  fosse   la
straordinaria  necessita'  che  rendeva  urgente,  in  quel  momento,
riscrittura «a  regime»  del  testo  unico  sugli  stupefacenti.  Gli
interventi al Senato favorevoli  all'emendamento,  lo  giustificarono
con il richiamo all'indirizzo minoritario e ormai da  tempo  superato
dalla Corte costituzionale, secondo cui la legge di conversione,  per
definizione, non sarebbe legata  al  requisito  della  necessita'  ed
urgenza,  con  il  che  pero'  sembra  che   implicitamente   venisse
riconosciuto  che  nella  specie  tali  requisiti  non   ricorrevano.
Inoltre, l'originario disegno di legge S-2953, il cui contenuto venne
in gran parte incorporato nel maxiemendamento, non era stato inserito
nel calendario dei provvedimenti da approvare prioritariamente, tanto
che l'ultima seduta in cui  le  Commissioni  riunite  del  Senato  lo
avevano esaminato risaliva alla primavera del  2005,  il  che  sembra
confermare  che  gli  emendamenti  aggiuntivi  non  rispondessero  ai
requisiti  dell'urgenza  e  della  necessita'.   Del   resto,   nella
discussione  al  Senato  il  maxiemendamento   venne   illustrato   e
giustificato  proprio  quale  conclusione  di   un   lungo   percorso
legislativo che raccoglieva tre anni di esperienza parlamentare e con
il quale si voleva chiudere  una  «annosa  vicenda».  Esattamente  la
difesa sottolinea l'analogia tra questa situazione e quella esaminata
dalla Corte costituzionale con la  sentenza  n.  128  del  2008,  che
dichiaro'  l'illegittimita'  costituzionale   di   una   disposizione
aggiunta in sede di conversione finalizzata appunto a  risolvere  una
«annosa vicenda» relativa alla proprieta' e alla gestione del  teatro
Petruzzelli di Bari, il che, secondo la Corte, rivelava «l'assenza di
ogni carattere di indispensabilita' ed urgenza». 
    Del resto l'aggiunta, con la legge di conversione,  di  un  nuovo
oggetto nel titolo del decreto-legge, oltre  all'eterogeneita'  delle
nuove norme, sembra evidenziare anche l'estraneita' delle stesse alle
ragioni di necessita' ed urgenza del provvedimento governativo. 
    La difesa infine sottolinea anche (ma cio', per la  verita',  non
riguarda le norme applicabili in questa sede,  dove  non  si  discute
sulla sussistenza del reato) come l'art. 4-bis faccia  rinvio  ad  un
futuro decreto del Ministro per la salute, da  emanarsi  di  concerto
con  il  Ministro  per  la  giustizia,  sentito  il  Presidente   del
Consiglio,  per  la  determinazione  della  soglia  quantitativa   di
sostanza stupefacente  oltre  la  quale  la  detenzione  puo'  essere
punita.  Cio'  dimostrerebbe  appunto  che  l'art.  4-bis  pone   una
«normativa a regime, del tutto slegata  da  contingenze  particolari,
inserita tuttavia nella legge di conversione  di  un  decreto-legge»,
che non fa riferimento a «situazioni gia' esistenti  e  bisognose  di
urgente intervento normativo, ma in via generale e ordinamentale  per
tutti  i  casi  futuri»  (sent.  n.  22  del  2012),  tanto  che  per
l'effettiva  integrale  operativita'  della  disposizione   si   deve
attendere l'approvazione di un decreto ministeriale. 
    14.  -  In  conclusione,  l'indicata  questione  di  legittimita'
costituzionale, incidendo sul  trattamento  sanzionatorio  (e  quindi
sulla decisione del relativo motivo di ricorso) appare  rilevante  in
questo giudizio nei limiti dianzi specificati, ossia in relazione: a)
all'art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, introdotto
dalla legge di conversione 21 febbraio 2006, n. 49,  nella  parte  in
cui modifica l'art. 73 del testo unico sulle sostanze stupefacenti di
cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e segnatamente nella  parte  in
cui, sostituendo i commi  1  e  4  dell'art.  73,  parifica  ai  fini
sanzionatori le  sostanze  stupefacenti  o  psicotrope  di  cui  alle
tabelle II e IV previste dal previgente art. 14 (nel caso di  specie:
hashish) a quelle di cui alle tabelle I  e  III,  e  conseguentemente
eleva le sanzioni per le prime dalla pena della reclusione da  due  a
sei anni e della multa da euro 5.164 ad euro 77.468  a  quella  della
reclusione da sei a venti anni e della multa da euro  26.000  a  euro
260.000; b) all'art. 4-vicies-ter, comma 2, lett. a) e comma 3, lett.
a) n. 6, del medesimo decreto-legge, nella parte in  cui  sostituisce
gli artt. 13 e 14 del d.P.R. n. 309 del 1990, unificando  le  tabelle
che  identificano  le  sostanze  stupefacenti,  ed   in   particolare
includendo la cannabis e i suoi prodotti nella prima di tali tabelle. 
    La questione e' poi non manifestamente infondata  in  riferimento
all'art. 77, secondo  comma,  Cost.,  in  via  principale,  sotto  il
profilo della estraneita' delle nuove norme inserite dalla  legge  di
conversione all'oggetto, alle finalita' ed alla ratio  dell'originale
contenuto del decreto-legge, e, in via subordinata, qualora le  nuove
norme siano ritenute non del  tutto  estranee  al  contenuto  e  alla
finalita'  della  decretazione  d'urgenza,  sotto  il  profilo  della
evidente carenza del presupposto del caso straordinario di necessita'
e urgenza. 
    Va pertanto sollevata questione  di  legittimita'  costituzionale
delle suddette disposizioni e norme, nei limiti, sotto  i  profili  e
nei termini dianzi specificati. 
    Il giudizio deve  essere  sospeso  sino  all'esito  del  giudizio
incidentale di legittimita' costituzionale.